Siamo stati i precursori dell’economia circolare già alla fine degli anni Novanta quando abbiamo fatto
nostro lo slogan dalla culla alla culla. Abbiamo capito il valore del recupero e del riciclo di materiali come
la carta, il vetro, i metalli e la plastica. È una storia di successi che inizia da lontano».
Un moderato orgoglio traspare dalle parole di Walter Facciotto, direttore generale del Conai (Consorzio nazionale imballaggi), la soddisfazione di chi – a distanza di anni – vede riconosciuto non solo il proprio lavoro, ma la filosofia che sta alla base di un modo di fare impresa. E che, «dopo anni di insistenza», ora viene accettata come un fatto naturale, come il fondamento di un mondo che non può più prescindere da un concetto di base: «I rifiuti sono una risorsa e il sistema raccolta differenziata/riciclo è un mezzo e
non il fine». Il fine è l’economia circolare. Concetti che ora appaiono (abbastanza) scontati, ma che vent’anni fa sembravano utopici. O, per dirla con un linguaggio caro agli imprenditori, erano «fuori
mercato».
Quello che una volta era fuori mercato oggi ne è quanto mai parte viva. Lo evidenzia l’indagine promossa dallo stesso CONAI, con il supporto dell’Istituto di management della Scuola superiore di Sant’Anna di Pisa e di lefe Università Bocconi, sulla diffusione dei principi di «circolarità» nella filiera degli imballaggi e degli sviluppi di iniziative verso una reale economia circolare.
L’indagine ha coinvolto 95 mila aderenti al sistema Conai con fatturato superiore a un milione di euro e più di dieci addetti. Il primo risultato che offre uno spunto di riflessione è che quasi la metà delle imprese italiane utilizza imballaggi (vetro, plastica, carta e cartone, legno, alluminio e acciaio) composti integralmente da materiale proveniente dal Acido. La cosiddetta «materia prima seconda» non è più una
soluzione di ripiego o di scarso valore, ma un fatto acquisito all’interno di un modello di business che mette al centro la «circolarità» dell’economia: lo scarto si recupera e diventa nuova materia prima.
Resta però il problema che in Italia la raccolta soffre di disparità da regione a regione nuova materia prima. «È un grande risultato, ma dobbiamo migliorare ulteriormente la qualità del materiale avviato
a riciclo», afferma Facciotto. «La svolta è avvenuta quando venne approvata la direttiva europea sui rifiuti che introdusse il concetto di società del riciclo, imponendo che entro il 2020 si raggiungesse il
50% della percentuale riciclata di alcuni materiali. Però permane una discrasia tra gli obiettivi dei Comuni (la semplice raccolta differenziata dei rifiuti urbani) e quelli di chi si occupa del riciclo, che invece è molto attento alla qualità dei rifiuti conferiti per evitare la diminuzione della bontà del prodotto una volta terminata la filiera del riciclo e ulteriori costi per renderlo il più puro possibile».
Ecco perché, come emerge dall’inchiesta, un produttore di imballaggi su cinque ha aumentato il controllo sui fornitori per trovare il modo di diminuire l’impatto ambientale del proprio prodotto. Quasi l’8o% dei produttori di imballaggi negli ultimi tre anni ha diminuito la quantità dei rifiuti prodotti e quasi la metà li ha ridotti del 3o per cento. Oggi un imballaggio su cinque è realizzato con almeno il 30% di materiale riciclato. «L’Italia, per quando riguarda il riciclo dei rifiuti di imballaggi, si trova al secondo posto in Europa dietro alla Germania», prosegue il direttore generale del Conai, «grazie anche al fatto che il sistema di raccolta è tra i più efficaci perché si basa sul principio della responsabilità condivisa. Viene interessata tutta la catena: dal cittadino ai Comuni, dai consorzi alle aziende. L’importante è che tutti gli ingranaggi funzionino al meglio e allo stesso modo per ottenere il massimo dei risultati in termini di resa».
Nessuno, nemmeno al Conai, nasconde che in Italia esistono forti differenze regionali nella raccolta dei rifiuti, disparità che sono distribuite a macchia di leopardo anche all’interno delle singole regioni.
«Basta considerare la realtà della raccolta differenziata di Salerno rispetto a Napoli, pur se negli ultimi tempi anche il capoluogo campano ha dato segnali importanti in questo senso», dice Facciotto. «L’importante è l’organizzazione del servizio che gestisce la raccolta differenziata, dipende se
l’amministrazione comunale vuole impegnarsi seriamente oppure no. Non è un problema culturale ma organizzativo e politico. Ci vogliono anche le sanzioni per il cittadino o il condominio che non effettua la differenziazione nel modo corretto. Ma con le multe abbiamo visto che il servizio funziona. E alla fine tutti ne hanno benefici: i cittadini, i Comuni, le aziende, l’economia. E soprattutto l’ambiente. È una questione di volontà e mezzi»
Fonte “Corriere della Sera”