L’Italia del riciclo funziona. Non ovunque, però in buona parte della Penisola sì. Ci sono voluti 20 anni, contrassegnati
da una lunga lista di emergenze, ma alla fine il bilancio del decreto Ronchi sui rifiuti è positivo. Anche oltre le aspettative come dimostrano gli ultimi dati Eurostat che assegnano al nostro Paese la più alta percentuale in Europa
per recupero e riciclo dei rifiuti urbani e industriali (76,9%). Più che doppia rispetto alla media Ue (solo il 37%), e molto superiore a Francia (54%), UK (44%) e Germania (43%).
Si tratta di una quantità enorme, oltre 56 milioni di tonnellate di rifiuti. In termini quantitativi, cioè al netto di import-export, ci batte solo la Germania con più di 70 milioni di tonnellate avviate al riciclo. In questo caso, scendiamo
al 2° posto: la metà dei rifiuti sono prodotti riciclabili tradizionali – carta, plastica, vetro, metalli, legno e tessili -, poi arrivano i rifiuti misti avviati a selezione, i rifiuti organici e verdi, e i chimici. A monte di questo primato c’è un mondo di imprese, più di 6000 (+10% sul 2008 con 155 mila addetti), specializzate in ogni segmento di mercato del ciclo integrato dei rifiuti: dalla produzione dell’imballaggio alla gestione del fine vita dello stesso. A queste si devono aggiungere altre 3.000 imprese, con 180 mila addetti addizionali che operano nel settore (cartiere, acciaierie e
vetrerie). Un’industria di cui fa parte anche il Conai, il Consorzio privato costituto 20 anni fa su spinta proprio del decreto che porta la firma di Edo Ronchi, attuale presidente della Fondazione sviluppo sostenibile.
«Quella riforma – ricorda l’ex ministro dell’Ambiente – ha consentito di far decollare l’industria verde del riciclo dei rifiuti e potrebbe consentire di raggiungere anche i nuovi e più impegnativi target Ue di riciclo a condizione che venga applicata in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale». Parole, quelle di Ronchi, che delineano anche la “nuova” sfida del Conai al 2030: ossia, di allargare il suo raggio d’azione grazie all’esperienza acquista sul campo e quella
dei suoi sei consorzi che garantiscono il ritiro dei rifiuti di imballaggio di acciaio, alluminio, carta, legno, plastica e vetro raccolti in modo differenziato, la lavorazione e la consegna al riciclatore finale, che può essere un singolo impianto o un intermediario accreditato.
Filiera di cui fanno parte anche le oltre 900 mila aziende produttrici e utilizzatrici di imballaggi, che lavorano ogni giorno con la filiera del Conai. I numeri che il Consorzio porta quest’anno ad Ecomondo, il Salone internazionale dedicato alla green economy, parlano di 50 milioni di tonnellate di rifiuti di imballaggio avviati al riciclo in 20 anni, passando da poco meno di 190 mila tonnellate nel 1998 fino a 4 milioni di tonnellate nel 2016. Il risultato è stato di evitare la costruzione di 130 nuovi impianti di medie dimensioni e il mancato smaltimento in discarica di circa 130 milioni di metri cubi di imballaggi.
In termini economici, i benefici — diretti e indiretti – sono nell’ordine di 1 miliardo di euro solo per il 2016, e di 9,9 miliardi dal 2005 ad oggi. Numeri che sono al di sopra degli obiettivi Ue al 2020 (67,1% vs 50% di riciclo) e che hanno già raggiunto quelli per l’anno 2025 (65%). Considerando anche la quota di recupero energetico, il 78,2% degli imballaggi immessi al consumo in Italia è oggi sottratto alla discarica.
«Il passaggio successivo è ora quello di raggiungere quota 75% entro il 2030, il “nuovo” obiettivo Ue – spiega il presidente del Conai, Giorgio Quagliuolo – Per riuscirci, dobbiamo mantenere l’attuale architettura di sistema
per non rompere equilibri molto sensibili, e migliorare in maniera apprezzabile la qualità e la quantità della raccolta differenziata per fare un buon riciclo».
Esempi virtuosi? «Uno su tutti è Bari dove abbiamo avviato negli ultimi mesi un’iniziativa di successo, supportata dal Comune, in due quartieri ad alta densità demografica (18 mila abitanti), raggiungendo una quota dell’80% di raccolta differenziata – risponde il presidente – Parlando di regioni, abbiamo ottenuto performance importanti anche in Campania dove ormai sono sopra la media nazionale (51,6%, Fonte Ispra). L’auspicio è che lo stesso risultato venga realizzato in Sicilia, la peggiore a livello nazionale».
Ci sono strumenti per ovviare a questa situazione? «La legge prevede che i Comuni che non raggiungono una determinata quota di riciclo devono essere commissariati – risponde ancora Quagliuolo – Ma non basta: dovrebbero aumentare i costi di accesso alle discariche». Nel frattempo, con l’aumento esponenziale del riciclo, si sta creando un fenomeno di ricollocazione delle materie prime seconde, nel senso che c’è oggi un mercato così grande in grado di accoglierle.
«In questo senso, un ruolo fondamentale potrebbero averlo i Green public procurement (Gpp), gli acquisti “verdi” della PA, che ancora oggi non sono decollati», sottolinea il presidente.
Nello stesso tempo, avverte Quagliuolo, bisogna accelerare sulla prevenzione. Non a caso, il Conai ha messo in campo un bando di 400 mila euro nel 2017 (era di 300 mila euro nel 2016 e nel 2015, e di 200 mila euro nel 2014). «Un’iniziativa che si avvale dello strumento di analisi Eco Tool di Conai, inserita nell’ambito del progetto “Pensare Futuro” per diffondere tra le imprese azioni volontarie di prevenzione, premiare quelle che si preoccupano della vita del packaging nella fase post-consumo ed esplorare prospettive innovative sull’impatto ambientale degli imballaggi
e la razionalizzazione dei processi produttivi» chiude il presidente.
Fonte: Affari & Finanza (La Repubblica)