La città ideale? Potrebbe chiamarsi «Circuit», cioè la contrazione di «Circular innovation town», un ecosistema che è insieme un modello economico del tutto (o quasi) autosufficiente e riesce a guardare in avanti, preparando le risorse peri bisogni del domani. La logica che sottende all’economia circolare è ormai qualcosa di sedimentato (anche se spesso se ne parla troppo poco).
Basti pensare a ciò che un consorzio privato come Conai riesce a fare in Italia valorizzando gli imballaggi
industriali: 13o milioni di metri cubi di rifiuti riciclati in venfanni, praticamente 124 palazzi alti come l’Empire
State BuildingPartiamo da un dato di fatto – spiega Elisabetta Bottazzoli, che in Conai è la responsabile dell’Area Ambiente e Sostenibilità -: se riusciamo ad allungare la vita dei prodotti e delle risorse naturali che impieghiamo per
fabbricarli, allunghiamo la vita di noi stessi. Di noi è di chi ci è chiaro». La domanda, ovviamente, è come attuare
questa circolarità virtuosa (produrreconsumare-riciclare-riutilizzare) in un sistema complesso, spesso non
razionale e ostacolato da rigidi limiti finanziari come quello urbano. «La strada – prosegue Elisabetta Bottazzoli
– potrebbe essere quella di creare una piattaforma che aiuti a organizzare i diversi portatori di interesse, dai
consumatori ai produttori, da chi si occupa di trasporti a chi fornisce l’energia». Tutti gli attori, insomma,
dovrebbero sentirsi un anello di una catena indissolubile. «Non è un sogno, è possibile raggiungere questo obiettivo.
Dopotutto – conclude la manager di Conai – nel riciclo Milano è più avanzata di Londra».
Fonte: Corriere della Sera